Cartellino e Bacchetta

In un passaggio della lettera ai Colossesi che leggiamo nella liturgia odierna, Paolo  parla di un annuncio della Parola di salvezza che viene effettuato “ammonendo e istruendo”.

Le prime immagini che mi saltano in mente quando sento questi due verbi sono il cartellino giallo dell’arbitro e la bacchetta della maestra.

Di ammonizioni ne ho totalizzate un buon numero nella mia breve e ingloriosa carriera di calciatore nelle partite in seminario, quanto alla bacchetta usata da severe e arcigne maestre mi è stata risparmiata, ma qualche punizione no (oggi come oggi qualche maestra potrebbe finire inquisita per molto meno di una bacchettata sul dorso delle mani).

Rimane il fatto che i verbi usati da Paolo non mi sono molto simpatici, almeno in prima battuta: evocano scenari un po’ rigidi, cupi, apparentemente contrari a quell’annuncio della Parola che va fatto sempre con dolcezza e rispetto.

Apparentemente, dicevo. Perché se si ha la pazienza di entrare nello spirito di ciò che scrive l’Apostolo, senza lasciarsi fuorviare da minacce di cartellini gialli o di bacchette nodose, si capiscono molte cose.

Quando Paolo parla di “ammonizione” – ci suggeriscono gli esegeti – intende significare un insegnamento intensivo, costante, approfondito. Per lui la parola del vangelo di Gesù non è da dimenticare in fretta: ha bisogno di profondità, di tempo, di pazienza per essere assimilata.

Solo così è in grado di cambiare e trasformare la vita di chi l’ascolta. Non bastano quattro righe di spiegazione o una bella predica: c’è bisogno di altro.

L’ammonizione allora non è tanto un rimprovero, quanto l’offerta di una possibilità: se vuoi, puoi conoscere davvero questa Parola, la puoi amare, le puoi dare tempo.

Proprio come si fa con le parole che ci si scambia tra innamorati: non basta sentirsele dire una volta soltanto.

E che dire dell’istruzione, invece? Il termine greco usato da Paolo richiama da vicino la parola italiana “didattica”.

Un buon maestro sa fare buon uso della didattica; non basta sapere le cose: è importante saperle insegnare perché anche altri le possano comprendere e gustare. L’istruzione, in questo caso, non consiste nel sottoporsi alle penitenze inflitte da maestre frustrate e scontente; piuttosto è vero il contrario. Chi ti istruisce con una buona didattica ha pazienza con te, ti accompagna passo dopo passo, non ti fa correre troppo o saltare passaggi fondamentali di apprendimento, non si scoraggia per le tue lentezze e i tuoi errori.

È così che Paolo vuole annunciare il vangelo: quasi attraverso una terapia intensiva che prevede la profondità dell’insegnamento e la fantasia nel proporlo.

Altro che cartellino e bacchetta. Con una sorpresa finale. L’apostolo per tre volte ricorda che questa parola è per tutti.

Da una parte intende dire che il vangelo non esclude nessuno, è universale, non ha confini. Proprio per questo lui, in prima persona, continua a viaggiare e ad affrontare rischi e pericoli: perché la Parola di Dio possa correre e raggiungere gli estremi angoli della terra.

Dall’altra chiarisce che non è retaggio di super cristiani plurilaureati: tutti possono accedere alla sapienza e alla saggezza del vangelo, anche chi non ha studiato, anche chi non ha avuto la fortuna di poter essere istruito o frequentare una scuola come si deve.

Non ci sono primi e ultimi della classe, promossi e bocciati.

La differenza sta nel cuore e nella capacità di decidere: c’è chi si fida e accoglie il messaggio e chi si ritrae e lo dimentica, o lo butta via.

Paolo ci dice che la parola di Dio è per tutti e per ciascuno, può attecchire in qualunque terreno, può convertire qualunque cuore.

Certo, c’è bisogno di chi la racconti e l’annunci, magari proprio ammonendo e istruendo. Senza cartellini o bacchette, ma con cura e passione.