Il distacco e la gloria

La scena dell’Ascensione – accennata fugacemente dalla prima lettura di oggi – è scena di gloria ma anche di distacco. I discepoli dovranno imparare a vivere i momenti della separazione come opportunità per la vita. A pensarci bene, ogni nascita è una separazione, ogni inizio è un distacco. Oggi forse facciamo fatica a vivere questa verità dell’esistenza.
Si soffre il dolore delle partenze come una perdita insopportabile e per questo ci affanniamo a cercare di evitarle. Ma in realtà si diventa adulti grazie al coraggio di lasciare situazioni certe e rassicuranti per affrontare sfide che sembrano gettarci in un campo ignoto e sconosciuto. Restare sempre attaccati alla riva, dove si tocca, non insegna a nuotare! Gesù sa bene che i discepoli non avrebbero la forza di questo distacco e lo provoca senza volerlo attutire. E in tutti i vangeli istruisce: è un bene per voi che me ne vada! Sembra strano che ci sia un bene in una separazione ma è proprio così. Solo questa distanza apre la strada ad un tempo nuovo e ad una forma nuova della loro stessa relazione.
Un rapporto vero, autentico, non è costituito solo dalla forza della immediatezza e dai momenti di vicinanza, ma anche dalla fiducia nella lontananza, dalla capacità di ritrovarsi dopo una separazione. I discepoli impareranno che il Signore non è partito per abbandonarli ma per restare sempre con loro, nella Parola e nella memoria di lui, nella presenza dei sacramenti e nella fraternità che cammina nella storia. Allora la distanza non è solo vissuta come perdita, ma come una componente irrinunciabile della relazione.
Nella distanza infatti cresce l’attesa: tornerà un giorno! La Chiesa vive “nell’attesa della sua venuta”, vive protesa in avanti e non ripiegata all’indietro. Vive in attesa del compimento e del ritorno del Signore alla fine e come il fine della storia. Va incontro alla fine non con paura ma con fiducia, perché sa che il Signore è avanti a lei e non dietro le spalle. Si cammina con fiducia sapendo che il futuro, la fine, è abitato dalla sua presenza, la storia cammina verso il Signore e per questo non c’è ragione per avere paura o per essere tristi.
Il Signore non ci lascerà soli nei passaggi della vita, e la promessa dello Spirito è la nostra forza.
Oggi nelle nostre chiese riprende la celebrazione dell’Eucaristia. Non sarà importante capire quanti siamo, ma come siamo. Di sicuro saremo di meno, non fosse altro per il fatto che i posti in chiesa sono limitati. Ma – mi domando – come arriviamo a questa ripartenza? A mio parere ci arriva bene chi ha saputo fare tesoro di questo tempo di digiuno eucaristico, di distanza e di distacco. Ci arriva bene chi non ha passato questi mesi nel mugugno e nella recriminazione, ma ha saputo far tesoro delle possibilità che gli sono state offerte, della necessità di entrare in nuovi linguaggi di comunicazione della fede.
Ci arriva bene chi ha vissuto nella libertà dei figli di Dio e nella capacità di leggere ovunque la sua ricchezza e la fecondità della sua presenza, non solo nelle Santissime Specie Eucaristiche. Come credente e prete mi sono sentito accompagnato in questo tempo di distanza dalle testimonianze del coraggio semplice di molti, da quanto – da lontano – mi era dato di ascoltare nelle confidenze telefoniche o nei messaggi, di rileggere nella partecipazione corale ai momenti proposti attraverso le nuove vie di trasmissione della fede. Ecco: mi è parso che il distacco patito – lunghi giorni senza ciascuno di voi, senza la partecipazione corale all’Eucaristia – sia stato in realtà un distacco ricchissimo, fecondo. L’ho letto, a suo modo, come un segno della Gloria di Dio, che non si esprime solo nelle scene luminose o nelle celebrazioni solenni, ma nella fede umile vissuta in tempi difficili, senza recriminazioni, senza polemiche, con i toni sussurrati e rispettosi di chi ha imparato ed accolto lo stile del vangelo di Gesù.