Nel suo nome

Per capire meglio le parole che ci regala Pietro nella lettura degli Atti degli apostoli di questa domenica (già ascoltata, peraltro nella prima domenica dopo Pasqua) occorre tornare all’istante in cui l’apostolo, vedendo uno storpio che si attende da lui l’elemosina dice: “Non possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno, cammina”. (At 3, 6). A partire da questo episodio torna insistentemente il riferimento al “nome”, al “nome di Gesù”, al “suo nome”: “il nome di Gesù ha dato vigore a quest’uomo”(3, 16); “in nome di chi avete fatto questo” (4, 7); “nel nome di Gesù Cristo quest’uomo vi sta dinanzi sano e salvo” (4, 10); “non vi è altro nome dato agli uomini nel quale è stabilitoche possiamo essere salvati” (4, 12); “diffidiamoli di parlare nel nome di lui” (4, 17); “ordinarono di non parlare nel nome di Gesù” (4, 18); “si compiano prodigi nel nome del tuo santo servo Gesù” (4, 30). Come interpretare questo rilievo dato al nome? Il nome di Gesù, anzitutto, è nome efficace. È un nome in grado di guarire, di cambiare le sorti di una persona. Chi si fida di questo nome trova salvezza. Non a caso è proprio questo il significato del termine ebraico espresso nel nome “Gesù”: Dio salva, Dio è salvezza. È un nome che deve risuonare spesso sulla bocca e nel cuore di chi si sente smarrito, perduto, di chi percepisce l’invadenza del male nella propria vita, di chi si pensa irrimediabilmente sconfitto. Parlare nel nome di Gesù, inoltre, significa affidare a lui le proprie parole, spogliarsi delleproprie parole per assumere le sue. Allo storpio che chiede l’elemosina Pietro non offre qualcosa di suo, e non parla a nome di se stesso. Mentre fa ricco un altro uomo, povero come lui, Pietro confessa la radicale insufficienza della propria vita. Senza quel nome a cui riferirsi, senza quel nome da pregare, la sua vita è poco più che niente, non è in grado di offrire e diregalare nulla. Tutto ciò che Pietro possiede è racchiuso nel nome di Colui che l’ha chiamato, seguito, corretto, trasformato, catturato. Questo dice anche un’altra realtà: che il nome raccoglie sempre una storia, una vita, e che dietro questa vita c’è una passione. Il nome di un estraneo non dice nulla; il nome di chi si ama schiude orizzonti infiniti. Pietro vive la passione profonda per il nome di Gesù. In questo nome rilegge la propria storia, i pesi che ha dovuto portare, la meraviglia di scoprirsi nuovo, diverso. Questo nome è la sua forza e il criterio di verifica delle proprie azioni. Infine, questo nome può essere pronunciato o taciuto anche da chi non lo riconosce, da chi lo disprezza. E magari comincia ad averne paura. Proprio questo preoccupa sacerdoti e scribi: che questo nome si diffonda, che si parli in nome di lui. Nella loro astuzia, non sembrano tanto preoccupati di una nuova dottrina, di una nuova ideologia, di una nuova estemporanea predicazione. Sono sopravvissuti a mille falsi messia, a profeti apparsi e scomparsi nel giro dipoco tempo perché predicavano se stessi. Intuiscono, i sacerdoti, che c’è qualcosa di estremamente pericoloso per la loro sicurezza in questi uomini che non predicano se stessi ma il nomedi un altro, che sono disposti a sparire purché il nome di un altro cresca, che non attribuiscono a sé la forza di un miracolo o di un prodigio ma rimandano alla grazia che viene da unaltro. Dire il nome di Gesù insegna gli apostoli a non curarsi troppo del proprio buon nome, della propria riuscita. Purché questo nome cresca, non è così importante cha appaia il mio; che conta non è “farsi un nome”, ma proclamare un nome nel quale possiamo essere salvati. I potenti di ogni epoca temono chi ragiona così: sanno che non è possibile fermare persone così, né con le minacce, né con le lusinghe, né togliendo loro la vita.