Pregate senza interruzione (1 Ts 5,17)

E’ sempre possibile venire nelle nostre chiese – secondo  gli orari stabiliti – per la preghiera personale,  mantenendo le dovute distanze (almeno 1 metro!) in  osservanza alle norme stabilite dall’autorità civile. In questo tempo sospeso… Tempo sospeso, tempo interrotto, tempo  vuoto. Rallentare, rallentare, rallentare… fino a  fermarsi. Scuole chiuse, università chiuse, niente cinema, né  teatri, né stadi. Anche i reparti di pronto soccorso si  svuotano, che siano diminuiti i malanni e gli incidenti?  E ora? I bambini, gli anziani… aiuto, ma come  facciamo? Non abbracciarsi, non toccarsi, chiudersi in casa. Ma  come, ci hanno insegnato a uscire, a fare, a non  fermarci mai, a riempire ogni minuto di attività e di  cose, a non tollerare il vuoto, il silenzio, la noia. E ci  abbiamo creduto! La palestra, l’inglese, i social, i viaggi.  E adesso? Ora che neppure gli aerei decollano più? Ora restiamo qui, un po’ sgomenti e un po’ confusi. A  contatto con noi stessi,  all’improvviso. Horror vacui : così lo  chiamavano gli antichi.  Abbiamo sperato di  riempirlo, questo vuoto, di  trasformarlo per non  doverlo più vedere. E invece ci ritroviamo dentro a un  vuoto, circondati dal vuoto, affogati nel vuoto…

Le filosofie e le religioni, da sempre, hanno fatto i conti con il vuoto per eccellenza: la morte. La società dei consumi  no: la morte non esiste (se non sotto forma di spettacolo) e il vuoto è solo uno spazio da riempire, compulsivamente,  con gli acquisti. Eppure, se non sappiamo guardare il nulla, se non abbiamo il coraggio di stare a contatto con le nostre paure, le nostre  angosce, le nostre fragilità, non saremo capaci neanche di cogliere quanto di bello e di buono la vita ci offre. Restare  vicino al nostro vuoto, sopportare il senso di precarietà che la vita strutturalmente porta  con sé, ci riporta ad un piano di verità esistenziale, ci dice che così come è vera la morte,  l’assenza, la perdita, altrettanto è vera la vita con tutto il suo carico di meraviglie. Quarantena e Quaresima hanno la stessa etimologia, e hanno in comune l’idea della  sospensione, della rinuncia, del ripiegamento su se stessi, del prendersi cura di sé e degli  altri. Per riconquistare la salute, fisica o spirituale, bisogna saper rinunciare, imparando a  distinguere ciò che è fondamentale da ciò che non lo è. C’è una storia zen che racconta di un uomo che sta in bilico su un burrone, circondato da  tigri feroci e senza possibilità di fuggire. Accanto a sé vede una bellissima fragola e la mangia, gustandone il sapore.  Fine della storia. Storia straniante, come spesso sono le storie zen, ma metafora efficacissima della contraddittoria condizione umana. Condizione ontologicamente precaria, soggetta alla finitudine, vulnerabile tanto che basta, come dice Pascal, una sola  goccia d’acqua per distruggerla, o un infinitesimale microrganismo come un virus. Ma finché fuggiremo da questa consapevolezza, riempiendoci di impegni, di oggetti, di merci di ogni tipo, non saremo  mai in grado di gustare il sapore della fragola. Una lezione semplice e dura, che viene da lontano, e che le drammatiche vicende di questi giorni hanno riportato  bruscamente alla nostra attenzione.