Siamo rimasti in pochi

“Pochi ma buoni”, si usava dire una volta, e forse si usa ancora adesso per consolarsi un po’ quando le attese vengono deluse. Ti aspettavi di fare il pieno a uno spettacolo, un concerto, un incontro, un’assemblea e ti ritrovi con quattro gatti, sempre i soliti.
Le iniziative della parrocchia spesso non fanno eccezione, e i vecchi parroci abituati a far di conto non hanno bisogno di complicate operazione matematiche: se ci sono tre persone in tutto più una che arriva in ritardo fai in fretta a tirare le somme. Allora ci si guarda in faccia e si sorride a denti stretti, mugugnando un “pochi ma buoni” al quale non ci crede per primo chi lo sta dicendo. Tra l’altro è un detto rischioso, a mio parere, nasconde almeno due trabocchetti.
Il primo è quello di sottintendere che i presenti sono tutti buoni, e i cattivi sono quelli che mancano.
Il secondo è di pensare che si è rimasti in pochi proprio per colpa degli altri, di quelli che non ci sono. Qualche volta magari è un po’ vero, il più delle volte ci sarebbe da discuterne.
Il profeta Baruc che ascoltiamo nella prima lettura di oggi, si è fatto un’idea differente: lo dice bello chiaro, senza paura: “Siamo rimasti in pochi in mezzo alle nazioni tra le quali tu ci hai dispersi”. Sembrerebbe che ce l’abbia un po’ col Padreterno: “Colpa tua che ci hai buttati un po’ dovunque, ci hai sparpagliati come randagi in mezzo a tutta la terra, dovevi stare un po’ più attento e trattarci meglio, guarda come ci hai ridotto”.
E invece no. Baruc ha bene in mente chi sono i responsabili di questa dispersione, di questo essere “rimasti in pochi”. La colpa è proprio loro, non di Dio. “È colpa nostra”, dice a Dio, “siamo noi ad esserci ridotti così, ci siamo rovinati con le nostre stesse mani. Siamo rimasti in pochi perché non siamo stati buoni”. Altro che pochi ma buoni! Baruc identifica anche una causa precisa di questo tracollo numerico ed esistenziale: “Non abbiamo dato ascolto
alla tua parola”.
Il popolo eletto aveva ricevuto in dono la parola di Dio. Era il bene più prezioso che possedeva, la ricchezza su cui poteva contare anche nei momenti più difficili, la luce da seguire. Poco alla volta l’ha dimenticata, l’ha perduta, e da lì sono iniziati tutti i guai. “Siamo diventati empi”, senza pietà, senza compassione, dice il profeta, e aggiunge “siamo diventati ingiusti”. Il popolo ha creduto di poter fare a meno della giustizia misericordiosa di Dio ed è diventato duro, insensibile, si è gonfiato in un orgoglio misurato. Quali le conseguenze? Smarrita ogni rettitudine morale, ogni anelito di fede, ogni capacità di riflessione, ogni predisposizione alla bontà di cuore si è presto trovato debole, disunito, in balia delle potenze dei paesi vicini che si sono approfittati della sua fragilità politica, religiosa, sociale e se lo sono mangiati in boccone. Ed eccoli qui, adesso, gli uomini del popolo di Dio: pochi, dispersi, sconfitti. E nemmeno tanto buoni, visto che la condizione attuale in cui versano è dovuta solo a loro stessi, alla loro empietà e ingiustizia.
Una situazione senza rimedio? Il profeta Baruc spera di no, e per questo osa supplicare il Signore, invocandone il perdono. Nella sua preghiera troviamo anzitutto il riconoscimento dei propri errori. Non accusa nessuno, non cerca capri espiatori. Rilegge il comportamento del popolo, se ne dispiace, ammette gli sbagli commessi, impara a chiedere scusa. Ma non basta. Non se la sente di chiedere che tutto ritorni come prima, sa già che non è possibile. E a pensarci bene domanda al Creatore una cosa umilissima, commovente: “Facci ritrovare grazia davanti a coloro che ci hanno deportati”. È questa una preghiera che non domanda semplicemente un trattamento migliore, delle condizioni di schiavitù più sopportabili nel paese di esilio in cui si trova il popolo eletto. Non domanda neppure il ritorno a casa come se niente fosse successo. Quel “facci trovare grazia”, forse chiede qualcos’altro.
È come se Baruc dicesse: “Fa’ che coloro che ci hanno deportato ci riconoscano come buoni. Donaci di trovare la giustizia che abbiamo perduto, la parola che ci può salvare.
Resteremo ancora a lungo in questa terra di sventura, ma avremo ritrovato Te, e con Te ritroveremo la dignità perduta, la bontà smarrita, la saggezza sciupata. Siamo rimasti in pochi – dice il profeta – magari resteremo ancora in meno. Ma tu facci diventare buoni. Davvero”.