Gli occhi di un vecchio

Mi sorprende la figura di Simeone, un uomo che passa la vita ad aspettare, che invecchia senza vedere nulla, e che a termine corsa apre gli occhi al mistero, guarda, osserva, vede cose che altri non vedono.
Forse perché usa gli occhi del cuore, o più semplicemente – come dice la Scrittura – perché è “mosso dallo Spirito”, si lascia guidare da un altro, proprio come fanno i vecchi quando mancano le forze e si appanna la visuale dell’orizzonte.
Cosa vede, come vede quest’uomo ormai al traguardo, al termine di una vita passata all’ombra del tempio, ad attendere ciò che non sembra mai volere arrivare?
Simeone vede oltre l’apparenza. Mettiamoci al suo posto. Lo Spirito lo butta nel tempio, gli dice “guarda che è arrivato, guarda che finalmente c’è il Messia, è lì, corri a incontrarlo”.
Simeone va, e che cosa trova? Non un sommo sacerdote in vesti da cerimonia, non un guerriero potente armato di tutto punto, non un profeta con una schiera di fedeli estatici in ascolto delle sue parole. Va e trova un bambino, figlio di una coppia di ignoti galilei, non sono nemmeno di Gerusalemme, basta guardarli in faccia. E sono pure dei poveracci, hanno offerto all’altare una coppia di tortorelle e non capi pregiati di allevamento, di certo non hanno molte palanche a disposizione se no avrebbero sacrificato un capretto, un montone, perfino un bue. Come fa Simeone a vedere in quel bambino uguale a tanti altri il Figlio di Dio lo sa solo lui. O forse lo sa lo Spirito che gli ha
dato occhi nuovi, capaci di perforare il muro delle apparenze e di contemplare l’invisibile.
Simeone vede oltre i confini. È significativo il cambiamento che avviene dentro di lui, una volta incontrato Gesù. Luca aveva scritto poco prima che quest’uomo attendeva “la consolazione di Israele”; ma quando il vegliardo tiene il Bambino tra le braccia lo chiama “luce per illuminare le genti” prima di definirlo “gloria di Israele”. Gli si è allargato lo sguardo. Capisce che Colui che attendeva non è venuto per pochi, per una nazione, uno stato, una tribù, ma per tutte le genti. Non ha scritto in fronte “Prima noi!”, ma “Prima tutti!”, o meglio “Tutti insieme!”; che è “gloria del suo popolo” perché è “luce per le genti”, la sua gloria sta nel non avere confini, nell’abbattere ogni tipo di muro o di
barriera.
Simeone contempla anche lo spettacolo del male, della sofferenza, della paura. Lo fa senza perdere la fiducia, lo rivela senza reticenze e senza menzogne alla Madre del Bambino: “Una spada ti trafiggerà l’anima”. Forse i suoi occhi ne hanno intuito la forza, hanno capito che quella giovane donna saprà affiancare e sostenere fino all’ultimo il suo
Figlio nella missione che lo porterà ad essere “segno di contraddizione”, Messia incompreso e sconfitto. Simeone guarda in faccia al dolore e non lo teme, non ne ha paura.
Un’ultima nota sugli occhi di questo magnifico vecchio. Sono occhi che dopo aver visto, si chiudono. “Ora lasciami andare Signore”, è questa la sua preghiera, “che i miei occhi si possano chiudere in pace”.
Simeone si congeda senza la frenesia o la pretesa di voler vedere di più. Ha aperto gli occhi al tempo opportuno, ora li può chiudere nella pace, non serve guardare altro quando si è già visto il Signore.
La Liturgia delle Ore ci consegna la sua invocazione al termine della giornata durante la preghiera di Compieta, quella che precede il sonno della notte, quando al buio corpo e spirito si addormentano e riposano in Dio.
L’ho imparata a memoria, mi piace ripeterla ad occhi chiusi. A volte si vede meglio così.