La Legge e la Grazia

Carissimi, oggi leggiamo nel Vangelo di Giovanni: La Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Il prologo di Giovanni distingue Mosè da Gesù, dalla legge alla grazia e alla verità. C’è una distinzione tra l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento. Ma anche suggerisce quale sia il rapporto tra di esse: la legge prepara, la grazia compie; la legge deve confessare la propria inevitabile imperfezione, soltanto la grazia porta a perfezione. La legge è un rapporto con Dio servile, soltanto servile, tra la creatura e il Creatore, mentre la grazia istituisce il rapporto di figlio. La Legge consente di conoscere di Dio soltanto le spalle, mentre il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, consente di vederne il volto. C’è una bella pagina illuminante dell’Esodo (33,18-23), in cui è scritto che un giorno Mosè chiese a Dio di vedere il suo volto. Dio rispose che era impossibile; Dio avrebbe fatto passare tutto il suo splendore davanti a lui, avrebbe proclamato il suo nome, ma non poteva mostrare il suo volto: perché nessun uomo può vedere il volto di Dio e restare vivo. Indicò dunque a Mosè un cavo nella roccia vicino a lui; Tu starai sopra la rupe – gli disse – quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle. Una tradizione rabbinica interpreta le spalle di Dio appunto come immagine della legge; essa chiede l’obbedienza appunto perché l’uomo non può vedere Dio in faccia; deve affidarsi alla voce. Alludendo a questa tradizione, Giovanni scrive: Dio, nessuno lo ha mai visto, il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui ce lo ha rivelato. Anche Paolo si esprime in termini simili. Oppone i servi ai figli, la Legge di Mosè al Vangelo di Gesù. Prima che venisse la fede, eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, quasi fossimo incapaci di provvedere a noi stessi; eravamo come servi, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Paolo paragona la legge a un pedagogo, destinato a custodirci fino a che non fossimo divenuti grandi, capaci di muoverci senza bisogno di una guida. La figura del pedagogo, ai tempi di Paolo, non è quella dell’educatore, ma quella dello schiavo incaricato di sorvegliare i figli minorenni, incapaci di muoversi da soli. Ora, dice Paolo, voi siete stati battezzati in Cristo e vi siete rivestiti di lui. Le cose antiche non contano più; non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù; e siete figli e non più servi. Tra la legge e il vangelo di Gesù c’è differenza, ma non opposizione, non un fossato invalicabile; il ponte sono i profeti. Essi annunciano la venuta del Messia, del Signore di Israele, del Figlio di Davide, che diverrà l’onore della piccola Betlemme. I profeti riprendono la Legge di Mosè, la scrivono da capo; questa seconda volta non sulla pietra, ma nei cuori. Come fanno a riscrivere la Legge? Raccontano quello che accade intorno a loro sulla terra; il loro racconto diventa subito un giudizio. I profeti portano alla luce i segreti dei cuori. Attraverso la considerazione dei comportamenti effettivi rimandano a una giustizia che appare convincente, diviene convincente, soltanto se procede dal cuore. La liturgia ci invita spesso a ripetere l’invocazione: Vieni, Signore Gesù. Noi obbedienti ripetiamo quella invocazione. Forse anche noi non sappiamo bene quel che chiediamo! Per riconoscere il Messia quando viene, è indispensabile guardare a lungo nel silenzio. Così possiamo caratterizzare in maniera sintetica il tempo di Avvento: un tempo per guardare nel silenzio. Appunto vivendo in maniera prolungata un tempo così, soltanto vivendo un tempo così, dilatiamo il cuore in modo che esso divenga luogo spazioso e accogliente per il Signore che viene. La Chiesa tutta deve aiutare tutti a fissare lo sguardo nel silenzio, in modo che quando il Signore verrà tutti possano riconoscerlo. Una delle urgenze maggiori della Chiesa oggi è questa: rivolgere gli occhi di tutti sul Signore che deve venire, e non su se stessa. È questa un’urgenza di sempre; ma è anche un’urgenza che si è fatta maggiore ai nostri giorni, in questo tempo nel quale l’attenzione ai risultati, al numero delle presenze, alla quantità degli articoli dedicati dai giornali alle diverse iniziative, minaccia di diventare il criterio supremo del successo. Il Signore aiuti la sua Chiesa a volgere l’attenzione oltre sé stessa, a Colui che deve venire. Aiuti in questo senso tutti noi.