La parola nel deserto

La Parola sta nel deserto, per voce di Giovanni. A margine, forse, della grande storia. Debolezza del luogo saremmo tentati di dire oggi.
Eppure, l’esordio del Vangelo di questa domenica è solenne: convoca i grandi della terra, involontari testimoni di un evento che ignorato o quasi dalle cronache ufficiali ha certamente mutato il corso della storia umana. Dio che entra nella vicenda umana: questo è l’evento che segna l’intera vicenda umana.
Il Natale di Gesù appartiene alla storia e non al mondo delle favole belle, seducenti ma inguaribilmente lontane dalla realtà.
Ecco allora le autorità politiche e religiose del tempo, convocate loro malgrado, ad attestarne la storicità. Tiberio Cesare imperatore: il suo governo precede e accompagna gli anni di Gesù dal 14 prima di Cristo al 37 dopo Cristo. E il suo Governatore, personaggio a noi ben noto per una sua spiccata attitudine a lavarsi le mani e chiamarsi fuori dalle situazioni che esigevano coerenza e coraggio: Ponzio Pilato, e ancora una testa coronata, quella di Erode e altri funzionari civili e i capi religiosi come Anna e Caifa responsabili della condanna di Gesù.
Ci prepariamo a vivere eventi accaduti nel tempo, un tempo lontano ma vero, documentato proprio da questi uomini che sono scritti anche nei resoconti ufficiali dell’Impero.
Ma torniamo al deserto. Deserto e Parola.
Ridiventare essenziali. Quella di Giovanni Battista è profezia forte e dura, libera dall’intrigo dei potenti. Dritta al cuore di ognuno e delle folle.
Il deserto, dove niente è tutto, non è muto. La gente si chiede: “che cosa dobbiamo fare?” In quali deserti e solitudini la Parola si posa oggi?
La Scrittura ci avverte anzitutto che c’è un luogo dove essa non è.
La Parola di Dio non è nell’autosufficienza e nel rifiuto ad una conversione che inizia dalle cose di ogni giorno, nei deserti che sono in casa nostra, nel mondo del lavoro, nelle relazioni sociali.
La Parola di Dio non è quando noi confondiamo l’idolo della nostra volontà con la Sua.
Come Giovanni Battista allora, così nella Chiesa oggi ognuno di noi è chiamato semplicemente a indicare Colui che è più grande, più grande del Battista, più grande della Chiesa, più grande di ognuno di noi. Questo è il compito del testimone, non dire di sé ma dell’Altro di cui si è testimoni.
Custodendo la sproporzione tra le nostre parole, la nostra vita e l’Altro, l’unico Signore e salvatore. Ma insieme assumendo il compito della testimonianza. Questo è il primo compito della Chiesa: indicare Gesù, come Giovanni Battista. Quante volte ci riteniamo impari al compito, inadeguati e tentiamo di sottrarci. Non scoraggiamoci, prima di noi lo hanno fatto Mosè, Geremia, Isaia, Giona tutti adducendo la loro inadeguatezza. Ma proprio perché il testimone non parla di sé, non raccomanda sé stesso può con libertà e coraggio dire di un Altro.
Che cosa dobbiamo fare? Indicare Gesù!
La Chiesa deve smettere le lamentele e il lutto, nella nostalgia del tempo passato quando esercitava un forte controllo sulla società.
Che cosa fare per essere credenti autentici? Ecco la domanda che ancora oggi noi ci poniamo, così come la ponevano a Giovanni le folle, i pubblicani e i soldati. Siamo infatti consapevoli che non basta portare il nome di cristiani, ma occorre esserlo in verità. In questo sforzo di unificazione ci viene in aiuto Giovanni, il quale proclama alle tre categorie di persone che si rivolgono a lui le esigenze fondamentali per ogni autentico cammino di conversione.
Il Battezzatore chiede innanzitutto la condivisione di ciò che si ha, chiede cioè di non possedere i beni in modo egoistico, senza gli altri o addirittura contro gli altri. Chi realmente vuole convertirsi è chiamato a vedere il bisogno di cui soffre l’altro e a esserne mosso a compassione, fino a condividere con lui ciò che possiede.
Giovanni invita poi a non pretendere, il che significa non esigere dagli altri ciò che essi non possono o non devono darci. L’unico debito esistente tra gli uomini, e soprattutto nella Chiesa, è quello del rispetto per l’alterità e dell’amore reciproco.
Rivolgendosi infine ai soldati dell’Impero Romano, il Precursore chiede loro di non maltrattare, di non abusare della loro forza, di non fare violenza a nessuno. Frenare ogni atteggiamento di aggressività verso chi ci è accanto. È il compimento della giustizia.