L’Avvento e la sofferenza di Dio

Con questa domenica inizia l’Avvento, tempo di vigilanza e di attesa.
Essere vigilanti, attendere, che  cosa vuol dire?
Chi dorme è chiuso in sé stesso, non percepisce la realtà fuori di sé, e anche nei suoi sogni non è in grado di percepire la realtà, ma solo ombre riflesse della sua mente.
Svegliandosi, esce dal carcere, e percepisce la realtà che lo circonda. Si apre ad essa. La nostra generazione è convinta di essere realmente molto “sveglia”, più di tutte le altre generazioni precedenti solo perché percepisce molto più del mondo: il nostro occhio va fino alle distanze più lontane, distanze immense, spaziali e temporali. E nello stesso tempo siamo capaci di entrare anche all’interno della materia, fino alle ultime particelle che la compongono. L’orizzonte è allargato enormemente, così anche le nostre possibilità di agire in questo mondo. E ciò nonostante dobbiamo dire che questa generazione, in un senso più profondo, dorme. È chiusa in sé, perché vede soltanto quanto può fare e avere, e si ferma alla facciata esteriore della realtà, alle cose materiali che può prendere in mano. Ma proprio così, siamo sempre più chiusi in noi stessi e non siamo più capaci di andare realmente all’infinito, di vedere la trasparenza della luce di Dio: i nostri sensi interiori sono ottenebrati dal vedere tutte queste cose esteriori che ci aiutano a fare e ad avere, e non rispondono più, non funzionano più, non hanno più accesso alla realtà, alla grandezza del mondo. È per questo che dormiamo. Dorme la nostra generazione.
Nell’Avvento il Signore ci dice di risvegliarci, di uscire da questo cerchio, da questo carcere del materiale, di aprire i cuori e cominciare a vedere la realtà più grande, il senso di Dio nel mondo, la presenza di Dio nel Signore Gesù Cristo, nella sua Parola, nei suoi sacramenti.
Vedere è anche partire e così logicamente dalla parola ‘vigilanza’ viene fuori l’altra, propria del cammino d’Avvento: “andare incontro al Signore”.
La fede non è un mucchio di idee, ma un’avventura della vita, un cammino, un mettersi in moto verso  il Signore: un cammino interiore, un uscire da noi stessi per andare incontro a Dio, alla realtà, all’amore e al prossimo. La Parola di Dio è Luce e invito ad accendere le lampade del nostro essere per arrivare al Signore.
C’è una specie di sofferenza di Dio nel rapporto con l’uomo. Dio soffre. Egli va chiedendo il suo amore, viene incontro alla nostra libertà, perché desidera non una cosa da ottenere con forza, ma desidera amore, cioè il sì libero, e così lascia alla nostra libertà di dire sì o di dire anche no, alla sua offerta e invito di amore.
Purtroppo, succede che l’uomo dica spesso di no e pensi che solo il dire no, rappresenti la prova della propria libertà. Dio cerca l’uomo con tutti i registri possibili; il Signore lo dice più volte, cerca il cammino del rigore, della severità, al tempo dell’Esodo, nel tempo dei profeti, nelle parole di Giovanni Battista.
E l’uomo risponde: no, io sono libero, non accetto il rigore di questo invito, prendo la mia strada. Dio cerca anche con la strada dell’umiltà, della bontà, della sua vita, dell’amore all’uomo. E cosa succede?
Anche qui l’uomo dice no, anzi, deride questo Dio debole che cerca il suo consenso e si rivela così poco onnipotente nella vita di Gesù. E sentiamo infatti questo lamento di Dio anche sulla bocca di Gesù, che guardando Gerusalemme dall’alto del monte dice: ‘Se avessi compreso anche tu la via della pace!’
E la storia prova la verità di questo lamento di Dio. L’Antico e il Nuovo Testamento sono anche la storia del tradimento del popolo di Dio alla sua offerta di amore: dai Profeti a Gesù.
Così vediamo la verità che è questo lamento di Dio, che è nello stesso tempo non solo una descrizione del passato, ma un avviso e un’ammonizione forte a noi e alla nostra generazione: ascoltate finalmente, la cosa non è ancora persa, ascoltate e seguite il Signore, il Signore della Pace.
È una parola che il Signore dice proprio a noi. È un grido forte: ascoltate, non c’è una sorte inevitabile.
Così, le parole dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono uguali, dicono la stessa cosa per generazioni diverse, e anche tra di noi la storia appare ancora aperta nelle nostre mani. Ma, alla fine del Vangelo, dopo la tristezza degli uomini di tante generazioni, e il pericolo che anche quelli di questa generazione dicano no, appare tuttavia una parola di gioia: una parola di promessa vittoriosa.