Il deserto diventerà giardino

Il vangelo di questa domenica ci introduce nel dialogo notturno tra Gesù e Nicodemo.

Nicodemo è uno dei capi dei Giudei, dice l’evangelista. Fariseo, è maestro in Israele e membro del Sinedrio. Probabilmente impressionato dalla figura di Gesù vuole conoscerlo meglio e nel cuore della notte viene da Gesù. Giovanni, l’evangelista, descrive quest’uomo appunto con le parole: “Colui che venne da Gesù”. E forse l’evangelista gioca sul verbo ‘venire’ che spesso nel vangelo di Giovanni equivale a ‘credere’. Sarebbe bello poter dire anche di noi: siamo di quelli che vengono da Gesù, che credono in Lui. Ritroveremo ancora Nicodemo: quando prenderà le difese di Gesù chiedendo che non lo si condanni senza averlo prima ascoltato (Gv 7,50) e quando porterà unguenti e profumi per la sepoltura di Gesù (Gv 19,39).

Un gesto, quest’ultimo, che dice il legame profondo con la persona di Gesù.

Il colloquio notturno aveva certo lasciato il segno nella vita di quest’uomo. Colloquio notturno: un dettaglio che l’evangelista non a caso ricorderà un’altra volta: “Dopo questi fatti, Giuseppe d’Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. (Gv 19,38-39)” e che forse allude ai dubbi, alle incertezze che agitano quest’uomo che nell’oscurità cerca luce parlando con Gesù.

E a quest’uomo in ricerca Gesù dedica tempo, il tempo di una lunga conversazione. Avrebbe potuto con una sola folgorante parola dissipare le ombre che assediavano l’intelligenza e il cuore di quest’uomo in ricerca. Ma non è questo lo stile di Gesù che invece prende tempo perché Nicodemo dia voce ai suoi interrogativi e si apra, a poco a poco, alla luce. Il cuore di questo dialogo è l’affermazione perentoria di Gesù: “Se uno non nasce dall’alto non può vedere il Regno di Dio”. Vedere Dio, il suo Regno non è il risultato di una iniziativa dell’uomo ma frutto di una nascita dall’alto, non è nostra conquista ma dono, dall’alto.

Certo, Gesù non vuol dire che si deve ritornare nel grembo della propria madre per venire

una seconda volta alla vita. Si deve piuttosto riconoscere che, affidati alle nostre sole forze, noi non possiamo salire in alto. La direzione verticale ci è preclusa. Noi siamo, come dice con parola stupenda il profeta Osea: “Un popolo duro a convertirsi, chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo” (Os 11,7). Forse è un’accusa che può valere per quanti tra noi non sanno guardare in alto.

I tempi difficili che viviamo non sembrano favorire visioni grandi, prospettive aperte e generose: la cura del nostro interesse particolare invade la nostra esistenza e sembra esaurire tutte le nostre forze. E invece bisogna “nascere dall’alto”, riconoscere una paternità che ci precede e ci accompagna.

A Nicodemo e a ogni uomo e donna che viene in questo mondo Gesù rivela il senso semplice e profondo dell’intera realtà: siamo amati da Dio qualunque sia l’oscurità e l’insignificanza della nostra situazione presente.

Questo è il messaggio di Gesù, una parola che, come ci ha tante volte ricordato il nostro indimenticabile cardinale Martini, davvero è lampada ai nostri passi e luce sulla nostra strada.

Provo a immaginare Nicodemo che dopo il colloquio con Gesù esce nelle viuzze buie di

Gerusalemme … era ancora notte ma già si annunciava la luce di un nuovo giorno, o come dice Isaia, nella prima lettura: “In noi sarà infuso uno spirito dall’alto; allora il deserto diventerà giardino”.