Non basta “scrutare” le letture

Le parole di Gesù nel Vangelo di oggi sono una risposta: “Gesù rispose e disse loro…”

Sono parole di risposta al gruppo dirigente dei Giudei, che quel giorno aveva visto con sorpresa uno, che da trentotto anni era paralitico, andarsene raddrizzato con il suo lettuccio. Era sabato. Era violazione del sabato portare un lettuccio. Quello si difese dicendo che il suo guaritore glielo aveva comandato: “Prendi il tuo lettuccio e cammina”.

Poi quello sconosciuto si era come dileguato. E chi fosse lui proprio non lo sapeva. Andò a riferirlo loro di lì a un po’, avendolo incontrato nel tempio. Ed ecco che all’accusa di violazione se ne aggiunge un’altra, questa volta per il guaritore: non si guarisce di sabato! Gesù risponde loro: “Il Padre mio lavora fino ad adesso e anch’io lavoro”. Indignati! Non solo violava il sabato, ma si faceva uguale a Dio.

Si riempiono la bocca di Dio, si riempiono la bocca delle sacre scritture, di Mosè e della sua legge; ma che cosa sanno di Dio? Che cosa sanno di Mosè? Non capiscono che è lo stesso Mosè ad accusarli? “Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me, perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?”. “Voi scrutate le scritture, pensando di avere in esse la vita eterna.

Sono proprio esse a dare testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita”. È una religione di parole, di tradizioni, di precetti. Ma che cosa rimane di Dio? Che cosa rimane se si mette sotto accusa chi è il riflesso trasparente di Dio sulla terra, Gesù, colui nel quale sperimenti l’amore di Dio che tocca la terra? Che cosa rimane?

Che cosa è diventato Dio e che cosa è diventata la religione, se, davanti a un paralitico che cammina, non si è più nemmeno capaci di emozionarsi, ma si grida allo scandalo per uno che porta il lettuccio in giorno di sabato? Ma che Dio è?

Le domande, queste domande, attraversano i secoli e arrivano a noi oggi, a noi che diciamo di credere. Leggevo le parole di Gesù a quei dirigenti del giudaismo e mi chiedevo se non potessero riguardare anche noi. Quante volte vedendo la nostra insensibilità, le nostre facce impassibili, le nostre proclamazioni senza cuore, Gesù ci potrebbe chiedere a che cosa abbiamo ridotto Dio e la religione. La scorsa domenica

Dio per mezzo del profeta Isaia segnalava questo degrado della religione dicendo del suo popolo: “la devozione che ha verso di me è un imparaticcio di precetti umani”.

Tutti ricordiamo come un giorno, in cui i capi religiosi gli avevano fatto questione sollevando uno scandalo per i suoi discepoli che avevano mangiato senza lavarsi prima le mani, Gesù rispose loro: “Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me.

Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini” Mc 7,6-9).

Un imparaticcio di parole che suonano vuote, rimbombano ma non producono nulla. Al contrario di quelle di Gesù che non suonano vuote: le sue assomigliano alle parole di suo Padre. Della parola di Dio infatti è scritto che non scende a vuoto. E’ scritto nel profeta Isaia: “Così dice il Signore: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. (Is 55,10-11).

Una parola che opera, quella di Dio! E Gesù da suo Padre aveva imparato: la sua era una Parola che operava, che custodiva in sé una forza di vita, dava vita.

Così fossero le nostre! E non parole vuote.