Gli Idoli Muti

Nella lettera ai Galati Paolo usa spesso toni di rimprovero: è un po’ arrabbiato con questa comunità che dopo avere abbracciato la novità e la libertà del vangelo sta ricadendo nelle vecchie consuetudini e nei legami imposti dalla legge antica. Anche nel testo di oggi prima di soffermarsi sulla varietà e la ricchezza dei carismi e dei ministeri, l’Apostolo ammonisce i credenti e li mette in guardia dal rischio di lasciarsi ingannare dagli “idoli muti”. Chi e cosa saranno mai questi idoli? E perché Paolo li qualifica come muti?

Nell’Antico Testamento si parla spesso degli idoli: impossibile recensire in poche righe tutto ciò che si riferisce a loro. Invito tutti, solo a mo’ di esempio, a leggere l’episodio forse più clamoroso: quello del “vitello d’oro”, che ci viene raccontato nel libro dell’Esodo ai capitoli 32-34. Ma potrebbero bastarci le parole del salmo che ci ricordano come gli idoli delle genti, opera delle mani dell’uomo, abbiano bocche mute, mani incapaci di toccare, orecchie inadatte all’ascolto e via discorrendo.

Contro di loro sta la forza del Dio di Israele che continuamente parla al suo popolo, ascolta il suo grido, agisce con mano potente per liberarlo dalla schiavitù e dal male.

Ma cosa significa – ci chiediamo di nuovo – qualificare come “muti” questi idoli?

Le risposte possono essere diverse. La prima è la più ovvia la più scontata: sono muti perché non aprono bocca o – per dirla con le parole del salmo – “dalla gola non emettono suoni”. Ma potremmo aggiungerne un’altra: sono muti perché dicono parole vuote, parole inutili, che non lasciano nessun ricordo e nessun sapore. O potremmo suggerire un’ulteriore interpretazione riguardo al mutismo degli idoli: sono tali perché le loro parole lasciano inerti gli spiriti a cui si rivolgono, non suscitano in loro nessun desiderio di cambiamento, non sono in grado di stimolare, accompagnare, sostenere, un cammino di vita rinnovata.

Nel contesto della festa di oggi e delle altre letture bibliche che ascoltiamo, il mutismo degli idoli ci comunica qualcosa in più. Siamo a Pentecoste. Lo Spirito santo – indiscusso protagonista della solennità – ci viene descritto come “Paraclito”, termine greco pressochè intraducibile che significa molte cose.

Lo potremmo definire “Consolatore”, capace di trovare gli accenti giusti per non farti sentire solo nel tuo dolore; oppure potremmo tradurre con “Suggeritore”: colui che ti pone sulla bocca la parola giusta al momento giusto.

Gesù stesso raccomanda ai suoi discepoli di non preparare prima la loro difesa quando verranno accusati e portati davanti ai tribunali: sarà lo Spirito a suggerire loro quanto dovranno dire. Infine lo potremmo qualificare come “Difensore”. Se proprio ti mancano le parole, se ti senti solo, se non hai più energie di fronte agli assalti e alle accuse dei tuoi nemici lo Spirito si prende cura di te, proprio come un buon avvocato difensore che tutela i tuoi diritti, che guadagna per te un verdetto favorevole.

Ma non finisce qui. La prima lettura, quasi in opposizione agli idoli muti di cui ci parla Paolo, ci racconta il miracolo delle lingue. Gli apostoli da uomini incerti, balbettanti e timorosi si trasformano in coraggiosi annunciatori della Parola. Le popolazioni provenienti da tutti gli angoli della terra li sentono parlare “ciascuno la propria lingua”; con la franchezza del loro annuncio capovolgono e cancellano il mutismo degli idoli che non hanno nulla da dire, che non offrono nessuna salvezza. C’è un messaggio particolare racchiuso in quest’ultima

considerazione: chi non impara la lingua dell’altro rischia di restare come un idolo muto, di perdere la grazia di conoscersi e di intendersi, offerta generosamente da Dio a tutti e a ciascuno dei suoi figli.

Non ci resta allora che ringraziare il Signore per la festa di oggi, che allontana da noi la minaccia degli idoli muti. E lo facciamo pregando con le parole di un salmo che la liturgia delle ore ci fa recitare spesso: “Signore apri le mie labbra, e la mia bocca proclami la tua lode”. Buona Pentecoste a tutti!