Le lodi dei morti

Mi inquieta un pochino la seconda strofa del salmo che oggi preghiamo insieme. Dice così: “A Lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra, davanti a Lui si curveranno quanti discendono nella polvere”.

Come la mettiamo? Abbiamo un Dio così orgoglioso e prepotente, così esagerato e presuntuoso da non accontentarsi delle lodi dei vivi e da pretendere perfino quelle dei morti? Non gli bastano le preghiere di chi sta al mondo? Vuole che si elevino inni e cantici anche dai poveri defunti? Perché non li lascia un po’ in pace, nel loro eterno riposo?

Ma subito mi viene in mente un altro salmo, che sembra affermare il contrario: “Non i morti lodano il Signore, nè quanti scendono nella tomba. Ma noi, i viventi, benediciamo il Signore ora e per sempre” (Sal 115, 17-18).

Sembra che i due salmi si contraddicano: uno dice che i morti si prostreranno al Signore, l’altro che non sono i morti a lodarlo.

Come ci orientiamo di fronte a questa contraddizione?

Forse nel salmo che leggiamo oggi inizia a balenare la speranza di una vita futura, che non sempre appare con chiarezza nell’Antico Testamento: una vita futura nella quale – per usare le parole dell’Apocalisse – non c’è più “né lutto, né lamento, né affanno, né pianto” perché “le cose di prima sono passate” e “Dio fa nuove tutte le cose”. Non ci sono più i morti, ma solo i viventi, perché Dio a tutti ridona la vita, per sempre. Questa vita futura viene raccontata dal salmo anzitutto come un risveglio, come un destarsi dal sonno. Quelli “che dormono”, per prostrarsi devono pure uscire dall’immobilità del sonno di morte, devono sgranchire le membra, stiracchiarsi, riprendere confidenza col proprio corpo. Il Dio davanti a cui si inchinano non è allora un tiranno impietoso che reclama sempre e comunque riverenze e salamelecchi, ma un padre amorevole che ridesta dal sonno della morte per chiamare alla vita. La stessa cosa si può dire per “coloro che discendono nella polvere”, polvere anch’essi.

Come fanno a curvarsi? Prima devono avere riconquistato un altro aspetto, devono avere ritrovato confidenza col proprio corpo e le proprie membra: ecco che anche per loro si prefigura un risveglio, una resurrezione. Dio li ricompone, dà loro una figura, un corpo capace di curvarsi, di stendersi, di muoversi.

Troppo complicato? Non credo. Ci basta pensare al fatto che questo salmo l’ha pregato Gesù, e che a Pasqua noi contempliamo il Figlio di Dio nella sua discesa agli inferi. Cosa ci va a fare? Forse proprio a destare chi dorme sottoterra, a dare vita a chi è disceso nella polvere.

La preghiera di lode – allora – diventa il primo gesto dell’uomo che ritrova vita, che riemerge del sonno della morte. Dice papa Francesco in una sua catechesi: “A chi serve la lode? A noi o a Dio? La preghiera di lode serve a noi. Paradossalmente deve essere praticata non solo quando la vita ci ricolma di felicità, ma soprattutto nei momenti difficili, nei momenti bui quando il cammino si inerpica in salita. Lodare è come respirare ossigeno puro: ti purifica l’anima, ti fa guardare lontano, non ti lascia imprigionato nel momento difficile e buio delle difficoltà”.

Mi piace allora pensare a questo salmo come a un invito alla lode soprattutto nei momenti in cui mi pare di vivere situazioni di morte, o di totale disperazione, o quando mi sento vuoto dentro, come morto, incapace di agire e di pensare, di parlare e di operare. Anche nei giorni in cui mi percepisco come polvere, o preso da un sonno interiore che mi lascia privo di forze, oso credere in un passaggio del Signore che mi ridesti e mi risvegli, mi ricomponga e mi dia forza e fiato per cantare la sua lode.

Sant’Ireneo, un Padre della Chiesa, dice che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”. Allora provo – così come sono – a lodare il Signore e dargli gloria con la mia stessa vita. Come dice il salmo che preghiamo insieme quest’oggi: “Io vivrò per Lui”; la mia vita ha senso se riposa e si ridesta nelle sue mani.