Con la fede di Abramo

Questa terza domenica di Quaresima è la domenica di Abramo. Se domenica scorsa, con la Samaritana, abbiamo scoperto che il cammino della fede conosce la lieta fatica di tanti passi, come tappe di avvicinamento al mistero di Gesù, oggi con Abramo scopriamo che sul cammino della fede vi è una moltitudine di uomini e di donne.

Quello della fede non è un cammino solitario e il primo compagno di strada è proprio Abramo. Nelle pagine della Bibbia ritorna una espressione che è quasi una definizione di Dio. Di Lui si dice che è il Dio dei nostri Padri, Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, Dio di Gesù, anche lui discendente di Abramo. Dio dei nostri Padri. Dio prima di essere il mio Dio è il Dio di altri, dei nostri Padri.

Può essere il mio Dio perché è il Dio di altri e io lo posso conoscere proprio perché è il Dio di altri e questi altri di Lui mi hanno parlato. Se voglio conoscere Dio devo ascoltare Abramo e dopo Abramo quanti altri amici di Dio che ne hanno ascoltato le parole e ci hanno trasmesso queste parole.

Facciamoci una domanda: da chi io ho ascoltato per la prima volta qualcuna delle parole del Signore? Alla nostra memoria appare subito un volto, forse quello della mamma e la sua mano che teneva la nostra di bambini per condurci in chiesa. E ripensandoci adesso non possiamo non ricordare con gratitudine quanti ci hanno trasmesso il dono della fede e le parole del Signore che poi forse abbiamo imparato a leggere nei Vangeli.

La storia delle fede di ognuno di noi è storia di una grande compagnia di uomini e donne che di mano in mano hanno raccolto, custodito e trasmesso la Parola. Nel linguaggio cristiano questo gesto del passare di mano in mano si chiama `tradizione’ che vuol dire appunto trasmettere, affidare ad altri quanto a nostra volta abbiamo ricevuto. Il primo che ha udito la voce di Dio che lo chiamava è proprio Abramo. Abramo ha risposto senza esitazione ‘Eccomi’.

Si incontrano persone che dicono il loro sincero apprezzamento per le parole del Vangelo, dicono di amare la persona di Gesù, ma poi aggiungono: oggi molti aggiungono: ‘Ma la Chiesa no, proprio non posso accettarla’. Altri amano il silenzio delle nostre chiese e vi sostano ma evitano le celebrazioni che raccolgono gente, tanta gente. Hanno come una allergia per i riti, i canti, in una parola sono solisti che non amano cantare in coro. Bisogna riconoscere che questo tramite umano che è la Chiesa è talvolta un serio ostacolo ma anche la primissima comunità raccolta attorno a Gesù non mancava di ombre. Ma è pur sempre vero che è dentro la Chiesa che abbiamo ricevuto il vangelo.

Il vangelo di questa domenica presenta uno scontro violento tra Gesù e i suoi contemporanei, tutti figli di Abramo.

Ma che cosa vuol dire essere ‘figli di Abramo’?

Vuol dire avere nelle vene il suo sangue e costituire così il suo popolo? Questa era la persuasione dei contemporanei di Gesù che invece afferma: ‘Figli di Abramo sono coloro che fanno le opere di Abramo’ vivono della fede di Abramo. Nasce, con questa parola, una appartenenza che non ha nel sangue, nella razza il suo fondamento ma nella libertà della coscienza che, nella fede, aderisce. Quante volte nel corso della storia una religione si è legata ad una appartenenza etnica, razziale o culturale.

Quante volte le guerre hanno levato alto il vessillo di una fede per combattere un’altra fede. Guerre di religione, e anche oggi è così. Ma il popolo di Dio, il popolo che Dio raccoglie, nasce e si nutre della fede di Abramo, una fede che non ha altra parola se non l’”Eccomi” di Abramo. Parola che ritroviamo sulle labbra di Gesù, di Maria di innumerevoli uomini e donne. È bello appartenere a questo popolo, stare nel respiro grande di questa folla di credenti che non conosce discriminazioni perché Dio può suscitare figli ad Abramo anche dalle pietre e da oriente e da occidente, da nord e da sud verranno i popoli e siederanno a mensa con Abramo.

Chiediamo la grazia di poter dire, ogni giorno, con Abramo: ‘Eccomi’.