Sto rendendomi conto

L’episodio dell’incontro tra Pietro e il centurione romano Cornelio ci è raccontato più volte da punti di vista diversi dal testo degli Atti degli apostoli; di fatto occupa tutto il capitolo 10 e più di metà del successivo. Mi colpiscono particolarmente le parole di esordio del discorso di Pietro, pronunciate nella casa del soldato romano: “Sto rendendomi conto”. È un inizio umile, dimesso.
È come dire: “Prima capivo poco o niente, ero ignorante, mi ero fatto delle idee sbagliate; adesso comincio un pochino a vederci chiaro, a comprendere meglio”. Insomma: Pietro è molto distante dal modo di parlare di chi pensa di sapere tutto, di aver compreso tutto, di tenere la verità in tasca.
Eppure aveva vissuto per anni con il Signore, gli era stato vicino, si era lasciato perdonare dopo il rinnegamento, aveva ricevuto una solenne investitura: “Tu sei Pietro, su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Entrando nella casa di Cornelio, un pagano che non sapeva nulla di Gesù o delle Sacre Scritture, avrebbe potuto esordire in ben altro modo.
Per esempio avrebbe potuto dire: “Sentite, gente, vi spiego bene io come sono le cose, so io com’è e cos’è la verità. Io ho incontrato il Cristo, ci ho mangiato assieme, ho visto i suoi miracoli, ho conosciuto i suoi parenti, sono il capo della compagnia dei suoi discepoli”. O anche: “Attenzione ragazzi: voi siete pagani, siete ancora ignoranti. Adesso ascoltate bene e tacete, io da voi non ho nulla da imparare”. E invece no. Quando arriva davanti al centurione non vuole essere salutato come un profeta o un personaggio famoso ma come un uomo qualunque. E dopo essere entrato in casa sua, lasciandosi ospitare da lui, ascolta quanto il soldato ha da dirgli, da raccontargli. E infine, quando tocca a lui parlare inizia come abbiamo detto prima, con uno “sto rendendomi conto” che tradisce tutta la sua meraviglia, la sua sorpresa. Viene da chiederci: è Pietro che evangelizza Cornelio o il contrario?
O forse sarebbe meglio dire che ciascuno dei due offre all’altro una parola di Vangelo?
Lasciatemelo dire: resto sempre un poco perplesso davanti a chi sa sempre tutto, è infallibilmente convinto di comprendere ogni cosa, non ha mai dubbi, non si pone mai domande. Resto anche un pochino irritato di chi – perfino in tempi come questi – agita la dottrina o il vangelo come una clava da spezzare sulla testa dei reprobi e degli ignoranti, dei non credenti e di chi non la pensa come noi. Per questo mi commuove il discorso di Pietro, che senza venir meno alla parola della Buona Notizia di Gesù, capisce che questa stessa parola l’ha preceduto, ha già raggiunto i suoi interlocutori prima che lui aprisse bocca, è entrata nel cuore del centurione e della sua famiglia attraverso strade che l’apostolo stesso non conosceva.
L’uomo religioso rischia sempre di pensarsi come unico e privilegiato depositario della grazia e della verità.
Non è disposto facilmente ad ammettere che Dio trova altri modi, altre strade per raccontarsi e per comunicarsi.
E fatica a credere che qualche volta Dio questi modi li usa perfino con lui. Non è solo al non credente che Dio traccia una strada originale, fuori dalle righe. Il credente stesso è chiamato ad uscire dalle sue certezze e dalle sue sicurezze religiose per imparare nuovi linguaggi, per comprendere codici di comunicazione differenti da quelli che ha sempre
usato, che se garantiscono da una parte la verità della sua esperienza di fede, non possono dall’altra esaurirla.
La radice dell’intolleranza, anche di quella religiosa, con tutti i danni che ne seguono, risiede spesso in quell’orgogliosa certezza che Pietro ha il coraggio di mettere in discussione. Dio non fa preferenze di persone.
Anche io che ho visto Gesù, che l’ho conosciuto, che ho mangiato con Lui, che ero suo amico, che l’ho visto perfino risorto da morte, non posso pensarmi migliore dell’altro.
Devo continuare a cercare con Lui e in Lui i segni dei passaggi della grazia.