Lasciarsi illuminare per poter vedere

Il brano di questa domenica (Gv 9,1-38b), ci parla dell’esperienza di uno che comincia a vedere e prima
non vedeva.
Questo “non vedente”, non vedente materiale, è preso come metafora della nostra cecità spirituale. Come il non vedente non vede dov’è, non vede dove va, così l’uomo spesso non sa dov’è, non sa dove va, non sa chi è.
Per questo è smarrito e perso e per questo anche non cammina, non sa in che direzione muoversi, se non nelle direzioni scontate che poi, ha già sperimentato, che non vanno bene.
Il vedere è il venire alla luce, è il nascere. Vedere vuol dire vedere l’altro e nell’altro, vedere sé stessi.
La fede nel Vangelo è presentata come “vedere”.
Noi diciamo spesso che la fede è cieca e non so perché.
In tutti Vangeli la fede non è mai cieca, è vedere, è conoscere, è manifestare, è rilevare, è il contrario dell’esser cieco.
Forse siamo così abituati a esser ciechi, a essere al buio che quando viene la luce ci dà fastidio e ci acceca. La fede è luce, fa vedere la realtà com’è: noi siamo figli, Dio è padre, gli altri sono fratelli, e questo cambia radicalmente la vita, ci fa vivere finalmente da uomini.
Prima vivevamo da lupi. Se ignoro che Dio è padre, io sono figlio e gli altri sono fratelli, l’altro diventa inevitabilmente il rivale, il concorrente da ignorare se non da eliminare.
Questo miracolo che avviene a un non vedente è segno del grande miracolo che deve avvenire in ciascuno di noi, quello di rinascere ad una vita nuova. Ci parla della luce.
La Parola è vita, crea tutto, e la Parola è luce degli uomini.
Cosa fa la luce? Venire alla luce vuol dire nascere. Ogni realtà è tale per l’uomo quando viene alla luce dell’intelligenza: è la luce che fa capire tutte le differenze, le fa rispettare e le rende disponibili. Così possiamo agire di conseguenza come collaboratori di Dio nella creazione.
C’è poi una luce interiore, ancora più profonda: chi ama ha una luce negli occhi, è la luce dell’amore che fa conoscere.
Gesù, nel Vangelo di oggi, non risponde al problema di chi sia la colpa, ma allude al valore simbolico della condizione di colui che è cieco. Costui ha bisogno anzitutto di capire che cosa sia la luce per poterla desiderare, come il popolo ebreo oppresso nella schiavitù ha bisogno di capire prima che cosa sia la chiamata alla libertà di essere figlio di Dio e per volerla raggiungere.
Questa è l’opera alla quale si è chiamati «finché è giorno».
A volte anche noi vediamo solo il male che c’è lamentandocene, cerchiamo di vedere i responsabili del male, oppure vediamo solo le cose di forte emozione o le cose immediate, meno valore diamo alla normalità.
Chiediamo al Signore di saper vedere le opere di Dio per poterlo ringraziare. La nostra stessa vita è opera di Dio; la fede, che è vedere secondo Gesù Cristo e il suo Vangelo; saper vedere che il regno di Dio cresce, nonostante le apparenze; vedere il bene che c’è e che molte volte è nascosto e bisogna strizzare gli occhi per accorgercene.
Anche per questo ci è data la Quaresima: per imparare a guardare e per riconoscere nelle cose il senso della nostra vita nel dono della grazia, che proprio perché non vediamo ci è data in dono.