Ne manca uno

Un mio amico era fermamente convinto di essere vittima di una maledizione.
“Quando mi metto a contare e a farmi gli elenchi di liste di personaggi più o meno importanti, alla fine me ne manca sempre uno. Prendi i re di Roma, ad esempio: Romolo, Numa Pompilio, Anco Marzio, Servio Tullio, Tarquinio Prisco, Tarquinio il Superbo … me ne manca uno! O i sette nani: Brontolo, Mammolo, Pisolo, Gongolo eccetera, e di sicuro uno me lo perdo per strada. Idem per la formazione dell’Italia nella finale con la Germania ai Mondiali ’82, o i rigoristi contro la Francia in quella del 2006. Non parliamo poi delle sette opere di misericordia, dei sette vizi capitali, dei dieci comandamenti …”. E di solito qui lo interrompevo per consolarlo, dicendogli che la maggior parte dei buoni cristiani è già tanto se ne sanno uno, non se gliene manca uno.
Provate a leggere l’inizio del vangelo di oggi. Non c’è un elenco, ma un numero. È il numero degli apostoli (c’è scritto dei discepoli, a dire il vero): undici.
Ne manca uno. Non affannatevi a cercare: ve lo dico io. Manca Giuda. E ci fa tenerezza l’idea, il pensiero di questo discepolo che si è perduto, e che pure manca agli altri, chissà come ne sentivano la mancanza, chissà quanto si sono interrogati sul suo conto. Passa poco tempo e sentono subito la necessità di sostituirlo, di colmare il numero mancante, di ricostituire la perfezione di quel “dodici” che dice il ricordo delle tribù di Israele, le porte della Città Santa e tante altre cose.
Ha ragione il mio amico: manca sempre qualcuno. Manca nelle nostre assemblee, nei nostri incontri, nei nostri pensieri, nei nostri affetti, nei nostri progetti. Mi viene in mente un altro episodio della bibbia: l’elezione regale di Davide. Dopo aver passato in rassegna tutti i figli di Iesse, Samuele domanda: sono qui tutti i giovani. E quello che manca è proprio lui, Davide, il prescelto, l’eletto del Signore. Quello che mancava, che non c’era, era il più importante. Spesso al termine di un incontro domandiamo a chi ha partecipato: “Chi c’era?”.
A volte dovremmo domandarci: “Chi mancava”. Non certo per rincorrere e pigliare a bastonate il reprobo che si è permesso il lusso dell’assenza, ma per il desiderio di sapere come sta, per il gusto e la gioia di ritrovarlo di nuovo, forse anche per chiederci il “come mai” della sua temporanea sparizione.
Eppure – mi fa tenerezza pensarlo – il Signore è a una Chiesa così che affida l’arduo compito di “fare discepoli tutti popoli battezzando e insegnando”, a una Chiesa imperfetta e imprecisa perfino nei suoi numeri di base, una Chiesa che si porta addosso ancora i segni del tradimento, impacciata nel suo credere e sperare: “Essi però dubitavano”, scrive Matteo. È una Chiesa di piccoli uomini che esce con le ossa rotte dal Mistero della Pasqua di Gesù, che ha conosciuto l’umiliazione del rinnegamento e della fuga. A gente così noi non avremmo affidato nulla, nemmeno uno spicciolo, men che meno un compito importante, o la cura di amico, o semplicemente le chiavi di casa. Meglio starne alla larga. E Gesù mette nelle loro mani quanto ha di più prezioso: la sua eredità, le sue parole, la sua stessa vita. Lo può fare, certo, e lo fa con l’attenzione e la grazia di chi non si limita ad affidare un compito, ma lo consegna racchiuso tra un’affermazione della propria forza (è a quella che dovranno attingere i discepoli, non certo alla loro!) e a una promessa indistruttibile di bene. “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”; “Io sono con voi fino alla fine del mondo”. Sorretti da parole così i discepoli potranno partire rinfrancati e fiduciosi. Ma non dovranno dimenticare mai, nemmeno quando avranno la tentazione di pensarsi sicuri e vincenti, di avere ricevuto un compito quando erano uno in meno, quando ne mancava uno, perché sempre sarà così, e solo in quel Regno che Gesù è venuto a portare ci sarà davvero posto per tutti, nessuno escluso.