Caccia al tesoro

Lo sapevano tutti i ragazzi dell’oratorio che l’ultimo gioco dell’ultima settimana dell’Oratorio estivo era la caccia al tesoro.
Già nel secolo scorso, fine anni ’70, in riva al Naviglio il nostro gruppo animatori preparava la caccia al tesoro finale con la stessa cura con cui la NASA progetta una spedizione su Marte.
Oltre all’intreccio complesso di biglietti, quiz, spostamenti, tappe e depistaggi, il difficile era nascondere le indicazioni nei luoghi prescelti. Tutti – ma proprio tutti – i ragazzi del paese ci seguivano la sera precedente mentre col favore delle tenebre andavamo a seminare tracce e segnalazioni nei cortili, nelle viuzze, nei campi, negli anfratti più nascosti del territorio; tutti volevano carpire anticipazioni e segreti per partire il giorno dopo con un po’ di vantaggio sulle altre squadre.
Non funziona così nel vangelo di oggi. L’onesto contadino che trova il tesoro in un campo non lo scopre mentre sta giocando allegramente coi soci, ma nel bel mezzo del suo lavoro.
Sta vangando la terra in un appezzamento di cui non è proprietario (tant’è che lo deve comprare se vuole impossessarsi del tesoro): un lavoro duro, umile, ingrato. I frutti – se mai arriveranno – avranno bisogno di tempi lunghi, di mezzo ci sono la semina, l’attesa paziente, la mietitura; e poi li dovrà spartire col padrone del campo che se ne sta in casa tranquillo a far niente e a godersi la resa del lavoro di un altro. E questo è già un primo indizio del tesoro evangelico: lo trovi intanto che lavori, magari proprio quando la fatica e la frustrazione sono più forti. E lo trovi solo se hai il coraggio di perdere qualcosa, nel caso del contadino addirittura tutto quel che hai accumulato in tanti anni di sudore. La grazia del vangelo, la sua forza, la promessa di felicità che dischiude non si sposa facilmente con la pigrizia e la paura, non è destinata a spiriti inerti o timorosi, ma a gente che sa rischiare e che non teme la fatica.
Ma c’è di più. Questo tesoro supera di gran lunga ogni aspettativa. Il contadino in questione andando a vangare la terra si aspettava al massimo di lavorare su un terreno non troppo duro, magari di trovare qualche collaborazione, forse si attendeva – a suo tempo – una buona resa e un occhio benevolo del padrone del campo, che non fosse troppo esoso, che non gli portasse via troppo del frutto del suo impegno. Non era un sommozzatore in esplorazione dei fondali dove era naufragato un galeone pieno di tesori: era un semplice paesano nell’arida e brulla terra palestinese. Imbattersi nel tesoro era qualcosa a cui probabilmente non aveva osato pensare nemmeno nelle sue più ardite fantasie, eppure gli capita proprio quello. Così è del vangelo: è molto di più, è molto più in là di quello che osiamo immaginare; forse per questo non riusciamo a intuirne la bellezza e grandezza: perché difettiamo in speranza, perché crediamo che il Padreterno ci possa gratificare al massimo di qualche piccolo favore, e non ci azzardiamo a credere che davvero la sua parola ha il potere di cambiarci, di capovolgere la nostra vita.
Eppure in qualcosa il tesoro del vangelo ha a che fare con la mia caccia al tesoro di animatore adolescente, e questo qualcosa è la gioia. Erano felici i ragazzi dell’oratorio di seguirci, di spiarci, di rincorrerci, e il giorno dopo di fiutare le tracce, di risolvere gli indovinelli e i rebus, di intuire le tappe e i passaggi del gioco. Eravamo felici noi di predisporre al meglio ogni cosa perché loro potessero trovare nel gioco il gusto della ricerca e la soddisfazione della conquista; eravamo appagati, alla fine, nel premiare tutti, anche quelli che avevano perso, perché così si deve fare quando uno ci mette la grinta e l’impegno.
Così, anche se la parabola parla solo della gioia di chi ha trovato, a me piace pensare alla contentezza di chi ha nascosto il tesoro, sapendo che un giorno o l’altro qualcuno l’avrebbe scoperto. Allora la parabola del tesoro nel campo non dice solo qualcosa a proposito della felicità e del coraggio di chi trova, e rischia tutto per avere, ma anche della benevolenza e del sorriso di chi prepara tesori non per sé ma per un altro, di chi – e forse il nostro Dio è proprio così – gioisce nel vedere una fatica premiata, lo stupore per un dono al di là delle attese, una vita che cambia traverso la mirabile sintesi della grazia che si disvela e della libertà che la abbraccia.