Discorso del cardinale Scola alla città

Il Discorso alla città pronunciato dall’Arcivescovo alla vigilia della festa di Sant’Ambrogio: al centro un nuovo umanesimo, con l’uomo inteso non come individuo singolo, ma come soggetto in relazione.

 

 


I cristiani non possono disertare il compito di offrire un contributo all’edificazione della vita buona nella società plurale centrato su un nuovo umanesimo, anzitutto perché membri, a tutti gli effetti, della famiglia umana. Ma ancora di più perché sono seguaci di un Dio incarnato che ha assunto la condizione umana non solo per indicarci il destino di amore definitivo che ci attende dopo la morte ma, e proprio in vista di questo destino, per accompagnarci nel nostro quotidiano cammino su questa terra.

Non si deve però parlare in astratto di un umanesimo buono per tutte le stagioni. Solo se sorge dal di dentro dei ritmi e dei processi dell’attuale travaglio storico si può parlare di nuovo umanesimo. Va inteso bene il senso dell’aggettivo nuovo. Il nuovo non è l’inedito ad ogni costo. Piuttosto nuovo è camminare non perdendo l’origine, è un ri-cominciare.

Così fecero i romani dopo i greci e dopo gli ebrei. Trapiantarono l’antico in un suolo nuovo. Il cristianesimo partecipa di questo atteggiamento che può ben definire l’anima dell’Europa. Basti pensare al rimando imprescindibile dell’annuncio di Cristo al popolo dell’elezione.

In questo contesto non è necessario soffermarsi a descrivere il percorso dell’umanesimo e neppure sulla riflessione critica intorno ad esso sviluppatasi lungo tutto il secolo XX e in questi primi lustri del nuovo millennio. Un percorso che è giunto a parlare addirittura di “postumanesimo” (lasciare alle spalle l’umanesimo) o “transumanesimo” (attraversare l’umanesimo per giungere ad una nuova cosmovisione, quella della civiltà tecnica e delle reti).
Venendo a Milano e alle terre ambrosiane vale la pena ricordare invece una caratteristica propria del cattolicesimo lombardo fin dalla prima età moderna: il suo forte legame con l’umanesimo delle origini, che è nella sua quasi totalità un umanesimo cristiano, un umanesimo teocentrico. Un orientamento positivo fondato sulla consapevolezza che l’uomo è stato creato ad immagine di Dio. Atteggiamento che non solo favorì un impegno religioso, umano, sociale nella vita ordinaria, ma si espresse in diverse opere educative ed imprenditoriali. Basti pensare alla promozione da parte di san Carlo dell’insegnamento della lettura ai ragazzi che frequentavano la dottrina cristiana o all’opera delle Orsoline.

Non si può evitare un cenno al cosiddetto “illuminismo lombardo” – pensiamo al Verri, al Beccaria e, per certi aspetti, allo stesso Manzoni –, con la sua peculiare attitudine a coniugare le istanze innovatrici d’Oltralpe con la tradizione culturale milanese. In un certo senso ne fu erede anche Carlo Cattaneo.
Guardando la nostra storia possiamo parlare di un autentico umanesimo della responsabilità: piedi per terra e sguardo volto al cielo.
Questa tradizione ha continuato ad alimentare, anche se in variegati modi e con diversa intensità, le terre ambrosiane nel corso degli ultimi sessant’anni. Sono ancora presenti i benefici frutti di una stagione storica caratterizzata da uno sviluppo accelerato reso possibile nel dopoguerra dalle energie costruttive delle nostre genti e degli immigrati italiani che cominciavano a trovare tra di noi la loro nuova dimora.

A questa stagione seguì la deindustrializzazione degli anni ’70, accompagnata dalla contestazione studentesca (con l’occupazione delle cinque università milanesi) e, assai dolorosamente, dalla violenza terroristica (gli “anni di piombo”). L’inizio degli anni ’80 vede avanzare la terziarizzazione dell’economia cittadina e, allo stesso tempo, una decrescita occupazionale e di popolazione, con la conseguente riorganizzazione dell’apparato produttivo e le relative rivendicazioni salariali e normative. La centralità economica di Milano viene favorita dall’attività finanziaria. Si apre poi la fase della cosiddetta “Milano da bere” che è diventata il brodo di coltura entro il quale ha preso avvio un processo distorsivo dei meccanismi di riproduzione del capitale sociale e culturale della città che, al di là di ogni giudizio storico o politico, ha trovato drammatica espressione nella vicenda di Tangentopoli.
I decenni trascorsi ci lasciano in eredità una oggettiva situazione di grave frammentazione. Milano e le sue terre sono alla ricerca di una nuova anima, capace di fondere in unità i tanti significativi frammenti di vita buona che nell’area metropolitana si accompagnano a pesanti contraddizioni.

Un nuovo umanesimo inizia dall’esistenza di tutti i giorni. I cristiani intendono condividere l’esperienza a loro familiare che l’incontro con Gesù e la vita con Lui nella comunità cristiana rende possibile un modo “conveniente” di amare e generare, di lavorare e di riposare, di educare, di condividere gioie e dolori, di assumere la storia, di accompagnare e prendersi cura della fragilità, di promuovere la libertà e la giustizia… Papa Francesco ha identificato la dimensione sociale di questa testimonianza, parlando del compito di diventare un popolo: «È un lavoro lento e arduo che esige di volersi integrare e di imparare a farlo fino a sviluppare una cultura dell’incontro in una pluriforme armonia» (Evangelii gaudium, n. 220).

 

 

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